Sopravvissuti: trailer in italiano del thriller con Denis Ménochet e Zar Amir Ebrahimi (Al cinema dal 21 marzo)
Al cinema con No.Mad Entertainment e il patrocinio di Amnesty International in collaborazione con Emergency e Open Arms.
Dal 21 marzo arriva nelle sale italiane distribuito da No.Mad Entertainment e con il patrocinio di Amnesty International in collaborazione con Emergency e Open Arms il thriller Sopravvissuti di Guillaume Renusson. Il film è descritto come un “thriller accattivante, minimalista e radicale parla sia di lutto attraverso la storia di ricostruzione e guarigione di un uomo distrutto, sia di migranti che hanno lasciato tutto nella speranza di una vita migliore attraverso il ritratto di una donna coraggiosa e determinata.”
Sopravvissuti – Trama e cast
Dopo un grave incidente stradale, nel quale ha perso la vita sua moglie, Samuel, in piena riabilitazione mentale e fisica, sente il bisogno di stare da solo e decide di ritornare nel suo chalet nel cuore delle Alpi italiane. Una notte, una giovane donna si introduce nel suo chalet per rifugiarsi dalla tormenta di neve. È straniera e vuole raggiungere la Francia attraversando la montagna. Samuel non vuole mettersi nei guai, ma davanti a questa situazione di estremo pericolo, decide di aiutarla. Non immagina che al di là dell’ostilità della natura, dovrà affrontare la cattiveria dell’Uomo…
Protagonista la star Denis Ménochet (As Bestas, Peter Van Kant, L’affido), con Zar Amir Ebrahimi (Holy Spider, Shayda) e Victoire Du Bois (Petites, Chiamami col tuo nome), affiancati da Luca Terracciano e Oscar Copp.
Sopravvissuti – I trailer ufficiali in Italiano
Intervista con il regista Guillaume Renusson
Sopravvissuti è il tuo primo lungometraggio. Da dove vieni, qual è il tuo percorso cinematografico?
Sono della Sarthe (un dipartimento a ovest di Parigi). Da piccolo andavo al CGR, il multiplex della mia città. Andavo a vedere le grandi produzioni, i film importanti… Poi, crescendo, ho fatto le mie scoperte personali, quelle che mi hanno fatto capire che il cinema poteva essere qualcos’altro. Sono cresciuto con un rapporto molto forte con la sala, era un posto dove mi sentivo protetto. Quando le luci si spegnevano, mi veniva il capogiro. Un’altra cosa che mi colpiva era il momento dei titoli di testa. Vedendo queste successioni di nomi, penso di aver capito abbastanza rapidamente che una moltitudine di persone lavoravano su uno stesso film. C’era qualcosa di molto concreto dietro, allo tempo stesso mi faceva fantasticare.
Qual è stato il punto di partenza del film? Immaginazione pura, un articolo o un servizio in televisione, cose che hai osservato o vissuto?
Quando ero studente, aiutavo una famiglia che veniva dall’Angola, una madre ed i suoi due figli. Il padre era deceduto. Mi occupavo delle loro pratiche amministrative e accompagnavo i bambini al sostegno scolastico. A Parigi, ero in un’associazione dove facevo dei cortometraggi con degli esiliati. Sono rimasto colpito nel vedere che la dinamica del lutto così come la conosciamo era molto simile a quella de lutto per il loro paese. Con Clément Peny, il mio co-sceneggiatore, un giorno abbiamo immaginato una scena : un uomo che offre la carta di identità di sua moglie scomparsa ad una rifugiata per permetterle di attraversare un confine. Ai miei occhi, c’era una concentrazione di molte sfide , sia sociali, che politici ma anche legati all’intimità… Credo che sia per questa scena che ho fatto questo film, è sempre stata lì, la sceneggiatura è stata costruita intorno a essa.
Si vede che ti sei ispirato al cinema.
Certo. Per esempio Essential Killing di Jerzy Skolimowski è emozionante sulla caccia in una situazione di guerra. Parlavamo di duo, e un magnifico esempio è Dersu Uzala di Akira Kurosawa, mi è venuto in mente scrivendo : due personaggi agli antipodi che diventano amici. È un film straziante sull’amicizia, sulla natura. Potrei citare anche Gerry di Gus Van Sant, l’ultima parte de La grande Illusione di Jean Renoir. E poi Il Grande Silenzio di Sergio Corbucci, un western nella neve : il silenzio ne Les Survivants rimanda a questo film che mi ha molto ispirato. Mi viene in mente anche The Revenant, ovviamente, oppure Un Lac di Philippe Grandrieux, un film difficile, un vero schiaffo.
Sopravvissuti è, com’è giusto che sia, portato dai suoi attori, a cominciare da Denis Menochet e Zar Amir Ebrahimi.
Denis riesce ad essere allo stesso tempo inquietante, rassicurante, minaccioso e protettivo. Gli ho detto che avremmo fatto la traiettoria inversa di L’Affido. Gli attori, spesso, si portano addosso i loro film precedenti. Tra L’Affido e l’inizio de Les Survivants c’è una sorta di continuità : non sembra un uomo di cui ci si può fidare, e questo alimenta anche la diffidenza di Chehreh. Grazie a Denis, ho potuto creare il film facendo le riprese e utilizzare la sceneggiatura come una base. Non sono affatto il tipo che vuole che i dialoghi scritti siano rispettati al millesimo. Sul set, sono nate un sacco di idee, molte cose si sono fatte lì per lì. C’è una scena, nel rifugio, dove Samuel ascolta un messaggio in segreteria di suo fratello, che gli dice che sarebbe meglio se tornasse a casa perché sua figlia non sta benissimo e Samuel è scosso da questo. Avevo registrato un certo numero di messaggi sul telefono, li avevo numerati, e dopo aver messo in atto il piano, ho detto a Denis di ascoltare il messaggio n º 5 : era Melanie Laurent che diceva: «Samuel, devi tornare, tua figlia è triste, ecc… ». Sapevo che Denis e Melanie erano molto legati dai tempi di Inglourious Basterds. Sapevo anche che a Denis piace lavorare così, partendo dalla realtà, e portarlo nella finzione. Per Zar, che forse non potrà mai tornare in Iran, ho fatto la stessa cosa. Nell’ultima scena, al momento del passaggio della frontiera, Chehreh piange. In macchina suona una delle canzoni iraniane preferite di Zar, questa canzone racconta la nostalgia di una donna che non può tornare a casa. Si sono creati dei momenti molto forti sul set.
Hai avuto un’intuizione a scegliere Zar prima che vincesse il premio per l’interpretazione femminile a Cannes.
Ne avevamo parlato con i miei produttori, volevamo un volto sconosciuto. Zar era conosciuta in Iran, ma era ancora sconosciuta in Francia. Durante il provino, ha recitato guardandomi dritto negli occhi. Non era intimorita o vittima ma molto forte. Mi sono detto che di fronte al colosso dai piedi d’argilla che è Samuel, doveva esserci una donna in apparenza fragile, ma resiliente. Zar ha anche questa capacità di cambiare volto : tutte e tre le volte che l’ho vista per i provini, è apparsa come tre donne diverse… Era perfetta per il film, volevamo che Chehreh, con il passare del film, diventasse sempre più la moglie defunta di Samuel.
I cacciatori fascisti sono stati interpretati da Luca Terracciano, Oscar Copp e Victoire Du Bois che è particolarmente impressionante.
Volevo tre facce «normali», dal fisico comune. Non siamo di fronte a degli skinhead abominevoli. Un giorno, ho visto un selfie di una giovane coppia di Generazione Identitaria che diceva di far rispettare la legge al confine tra Francia e Italia: lei era truccata, vestiva un piumino rosa, sembrava quasi una piccola coppia banale. Ho voluto che i miei «cattivi» non facessero paura a primo impatto. Victoire, l’avevo vista in altri film e sapevo che poteva interpretare questo tipo di personaggio, che è un vero ruolo fabbricato, visto che nella realtà le sue convinzioni sono all’opposto. In una delle ultime scene, quando sta addosso a Samuel, si percepisce che il personaggio non ha il controllo su ciò che accade. Infatti, i tre giovani sono completamente sopraffatti dalla loro violenza e dalla violenza che hanno generato in Samuel. Volevo che “Sopravvissuti” fosse un film di genere in cui si crede perché fedele al reale. E al contrario, non volevo ridurlo a un soggetto sociale e politico, ma invocare il Cinema ovunque.